Recentemente, mi sono trovato coinvolto in una vivace discussione con una rinomata esperta nazionale nel campo della postproduzione. Eviterò di nominarla, non per timore di ritorsioni legali, ma piuttosto per mantenere un tono professionale e concentrarmi sull’argomento al centro della controversia.
Tutto è cominciato con un innocente commento da parte mia sotto uno dei suoi post sui corsi riguardanti l’intelligenza artificiale. Il mio intervento, cancellato prontamente, era un semplice invito a riflettere sul termine “fotografia” nell’ambito di queste nuove tecnologie. Ho chiuso il mio commento con un’ironica richiesta: “per favore, non chiamatela fotografia”. Questo, ovviamente, ha scatenato un acceso dibattito.
Non voglio essere frainteso: non intendo denigrare l’incredibile potenziale dell’Intelligenza Artificiale nella creazione e manipolazione delle immagini. Tuttavia, c’è una sottile differenza tra manipolare pixel attraverso algoritmi e catturare l’essenza stessa della luce attraverso un obiettivo. La parola “fotografia”, con le sue radici etimologiche greche, ci offre una chiara definizione di ciò che implica: scrivere con la luce.
Non si tratta di una questione di superiorità tra vecchie e nuove tecniche, ma piuttosto di rispetto per il significato intrinseco delle parole e delle pratiche. Chiamare “fotografia” un’immagine generata da un computer è, per me, come chiamare “pittura” il lavoro di un programma di disegno digitale.
Capisco perfettamente l’intenzione di chi promuove questi corsi e lavori nel campo dell’Intelligenza Artificiale. È innegabile l’affascinante capacità di generare immagini da semplici prompt testuali. Tuttavia, ciò che mi lascia perplesso è la mancanza di creatività e originalità in questo processo. L’arte e la creatività hanno bisogno di quel tocco umano, di quell’elemento irripetibile che solo un artista può conferire.
Quindi, mentre ammiro l’innovazione tecnologica e il progresso nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale, vi invito gentilmente a non chiamarla fotografia.
Rispettiamo le radici e i significati delle nostre discipline, e lasciamo spazio alla vera creatività umana, che non può essere replicata da nessun algoritmo.